Divisione Artiglio
L’idea di creare la Divisione Artiglio di Venezia è venuta qualche anno fa dopo l’incontro con Sauro Sodini. L’intento è quello di creare una sorta di gemellaggio tra Venezia e Viareggio uniti dall’ammirazione per le gesta dei palombari viareggini dell’Artiglio.
I PALOMBARI DELL’ARTIGLIO
Il 7 dicembre 1930, in Francia nel mare davanti a Saint-Nazaire, una tremenda esplosione travolse ed affondò l’Artiglio, impegnato nella demolizione del piroscafo Florence.
Nella tragedia, che causò dodici vittime, persero la vita i palombari viareggini Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini ed il marinaio Romualdo Cortopassi.
La storia ha inizio dall’incontro di Alberto Gianni, palombaro già famoso, con Giovanni Quaglia, fondatore ed amministratore della SO.RI.MA., società di recuperi marittimi, impiantata a Genova, che affidò a Gianni il compito di attrezzare le navi Artiglio, Rostro, Raffio e Arpione.
Con il Gianni entrarono nella società i palombari Aristide Franceschi, Alberto Bargellini, Mario Raffaelli, Raffaello Mancini, i fratelli Fortunato e Donato Sodini, Giovanni Lenci e Carlo Domenici. Con questa schiera di “predatori” nasceva la nuova era delle grandi imprese negli abissi marini.
Nulla era impossibile per i palombari viareggini che decisero di affrontare l’impresa grande e ambiziosa del recupero del carico dell’Egypt, affondato in un punto della Manica, a130 metri di profondità, con un carico di 5 tonnellate e mezzo di oro e 43 tonnellate d’argento, per un valore di 5 milioni e mezzo di dollari di allora.
Il 12 settembre 1929, l’Artiglio si diresse a Brest per localizzare l’Egypt e il suo ritrovamento fu un’impresa grande pari a quella del recupero del prezioso carico.
Il 29 agosto 1930, dopo un anno di ricerche, interrotte durante i mesi invernali, fu incocciato l’Egypt, ma la stagione avanzata impose di rimandare tutto alla primavera.
Allora l’Artiglio fu inviato a Saint-Nazaire per demolire la carcassa del Florence che giaceva, con un carico di 150 tonnellate tra esplosivo e munizioni, a 16 metri di profondità, ostacolando l’ingresso della baia.
Lo smantellamento, che iniziò il 4 ottobre, era pericolosissimo e consisteva nel far esplodere cariche per aprire un varco nella stiva della nave. I palombari sistemavano le cariche, fatte poi brillare tramite contatto elettrico dall’Artiglio, ad una distanza di sicurezza.
Passavano i giorni ed il Florence restava da demolire, nonostante aumentassero le cariche e diminuisse la lunghezza del cavo elettrico. Intanto si avvicinava il natale e cresceva la voglia di ritornare a casa. Il 25 novembre 1930, Gianni scrisse alla moglie: “Qua i temporali si rincorrono uno dietro l’altro senza farci più mettere il muso fuori del porto.
Questo stato di cose l’ho comunicato alla Sorima e al Comm. Quaglia, che sono certo prenderà provvedimenti, ci farà certamente rientrare in Brest per il disarmo e quindi spero venire presto a Viareggio”.
Ma il Quaglia, alle richieste del Gianni, rispondeva: “Se vi interessa passare le feste a casa, dovete spicciarvi”. E siamo alla domenica del 7 dicembre, il giorno fatale.
Dopo aver piazzato le cariche, l’ Artiglio si portò a distanza di sicurezza, questa volta soli 160 metri – tanto era lungo il cavo rimasto. Il Gianni ordinò: “Dinamo!”. Con un boato spaventoso si sollevò una colonna d’acqua e di ferro: era esploso tutto il carico del Florence. L’ Artiglio ed il Florence non esistevano più.
La notizia della tragedia fece il giro del mondo. Mario Raffaelli, palombaro del Rostro e poi capo palombaro dell’ Artiglio II°, così descrisse il fatto: Ci trovavamo col Rostro a circa due miglia dall’Artiglio che vedemmo con terrore scomparire in quell’eruzione infernale.
Non trascorse un attimo, la superficie del mare era ancora sconvolta e avvolta in una impenetrabile nube dí fumo nero, che già il Rostro filava a piena macchina verso quel luogo di terrore e di morte. Quando fu possibile scrutare il punto dell’esplosione il mare era completamente sgombro. Venti minuti dopo dalle lance del Rostro venivano raccolti i sette naufraghi affranti, avviliti e alcuni feriti.
Poco dopo anche i corpi di Gianni e Franceschi venivano raccolti dal Rostro. Il capo dei palombari più ardimentosi e bravi del mondo sembrava ancora vivo e per circa due ore gli fu praticata la respirazione artificiale, ma ogni più disperato tentativo inutile. Anche Gianni era già cadavere”.
Allora si pensò che mai più si sarebbe parlato del recupero dell’Egypt. Ma altri palombari cresciuti alla scuola del Gianni erano pronti a portare avanti l’impresa.
Nacque un nuovo Artiglio per strappare al mare il tesoro dell’Egypt e nel 1933, con un’impresa che sa di leggenda, furono recuperate 6 tonnellate e mezzo d’oro e 44 di argento, qualche tonnellata in più di quanto denunciato all’assicurazione.